Ci risiamo con nuovi proclami sul salario minimo e sembra addirittura che il governo giallo-verde sia sulla via di un’intesa per i 9 euro ora, includendo le tredicesime.

Secondo fonti del Governo questa iniziativa servirà a combattere il problema dei working poor (o lavoratori poveri). Ma sarà davvero così? Come già ricordato da Gabanelli su Dataroom, distribuendo su 12 mesi le tredicesime e le quattordicesime, i salari coperti da contratto collettivo del lavoro raggiungono quasi tutti i 9 euro/ora. Rimangono dunque fuori i lavori meno qualificati, per i quali – data la bassa produttività oraria – è impossibile imporre d’ufficio un innalzamento salariare.

Introdurre un salario orario minimo non sembra dunque risolvere il problema di chi è mal pagato poiché, con un cuneo fiscale così alto, certi lavoratori non possono essere pagati più di quanto prendono. Al contrario, l’introduzione di misure di questo tipo crea il rischio di spingere nuovi lavoratori verso il nero (nella cui giungla si può arrivare a prendere anche 2 euro/ora, vedi caporalato).

La distribuzione salariale italiana è piuttosto particolare. Come si può vedere dal grafico non esistono molti poor workers e il problema sembra essere più quello del salario medio, schiacciato verso il basso (come si vede nel grafico allegato – fonte dati Repubblica), che quello dei salari bassi. Merito dei contratti collettivi.

Gran parte dei problemi nascono, infatti, quando le aziende propongono soluzioni contrattuali che escono dai canonici CCNL, i cosiddetti contratti multiservizi. Come riporta Dataroom:

Contratti che abbracciano ogni specializzazione, per cui le stesse tabelle salariali possono essere applicate a tutti in modo indistinto. Parliamo di contratti firmati da organizzazioni che non rappresentano nessuno o quasi. Il loro principale obiettivo è abbassare i compensi. A volte in modo nascosto: le tabelle delle retribuzioni per le varie categorie sono uguali a quelle dei contratti principali, ma di fatto gli stipendi a fine mese sono inferiori perché si penalizzano voci come malattia, straordinari, notturni, festivi e versamenti agli enti bilaterali, con corrispondente taglio dei servizi da essi garantiti (questo soprattutto nel tessile e nell’alimentare).

Parlare di salari, seriamente

Come abbiamo visto, quello del salario è un argomento complesso. Un vera discussione sul salario minimo richiede un approccio diverso da quello proposto dal nostro Ministro del Lavoro. Dal nostro punto di vista:

  1. Sarebbe necessario coinvolgere tutte le parti sociali in causa (sindacati e imprese). Accortezza che – a leggere le notizie – non sembra esserci stata.
  2. Servono misure sofisticate, come la creazione di meccanismi di indicizzazione geografica dei salari (come quelli di Olanda e Belgio) o l’istituzione di una commissione di garanzia che assicuri il rispetto delle norme (come in Germania e Regno Unito).

La proposta a cui stanno lavorando le istituzioni rischia invece di avere un effetto negativo per i lavoratori già coperti da CCNL (metalmeccanici, chimici, etc.), che si ritroverebbero un minimo salariale più basso di quello settoriale a cui sono già sottoposti, con il conseguente rischio di innescare dei ribassi per i nuovi assunti.

L’elefante nella stanza, la formazione

Il Sole 24 Ore di oggi (11 luglio 2019), nel pezzo a pagina 11 “Le imprese alla ricerca di 469 mila tecnici” rivela che l’Italia ha un enorme problema di disallineamento (mismatch) in fatto di competenze: le imprese non trovano sul mercato le competenze tecniche che servono loro per crescere (solo l’1,4% dei giovani si laurea in discipline STEM).

Ciò non bastasse, anche il collegamento tra università e imprese è molto scarso nel nostro Paese. Soltanto il 4,4% degli studenti under25 ha un contatto con il mondo del lavoro prima di laurearsi (contro il 36,8% degli omologhi tedeschi).

Un politica del lavoro seria richiede investimenti nel mondo della formazione e non solo ulteriori garanzie. Per avere salari più alti servono anche lavoratori più produttivi (ovvero maggiormente capaci di generare valore per l’azienda). Quando una nave non è attrezzata per navigare non c’è navigator che tenga e di certo non sarà il Reddito di Cittadinanza ad aiutare i giovani a prendere il largo.