Tempi straordinari, misure straordinarie. Nei Paesi occidentali, da quando esiste la democrazia moderna, il suo funzionamento è stato sospeso o alterato soltanto in rarissime occasioni (pensate che negli Stati Uniti si votò regolarmente anche durante la Seconda Guerra Mondiale). Siamo abituati a godere a pieno dei nostri diritti e quando questi ci vengono negati (o meglio sospesi) sembra tutto molto strano, come ci stiamo accorgendo in questi giorni di crisi. Sebbene l’emergenza CoronaVirus giustifichi gli interventi presi e la loro eccezionalità, credo che valga comunque la pena di fare un ragionamento su quali siano i limiti da non valicare per non correre il rischio di mettere a repentaglio la nostra democrazia.

Non è una questione di lana caprina. A inizio settimana il Parlamento ungherese ha dibattuto, e alla fine rigettato, l’Authorisation Act, un provvedimento che avrebbe prolungato a tempo indeterminato lo stato di emergenza nel Paese, dando al Primo Ministro Victor Orbán la possibilità di governare per decreto, oltre a dargli il potere di decidere i tempi e le modalità delle riunioni della Assemblea parlamentare. Nonostante questo tentativo non sia andato a buon fine, non è possibile escludere ulteriori tentativi nei prossimi giorni, poiché Orbán ha un’ampia maggioranza parlamentare[1].

Qualcuno potrebbe dire che sono fatti distanti, che non riguardano l’Italia e che noi possiamo stare sereni. In realtà qualche domanda sullo stato di eccezione con cui sta venendo governato il Paese durante questa crisi me la sto facendo – e non sono l’unica.

L’eccezionalità italiana

Con i vari DPCM sono state sospese tutte le consultazioni elettorali programmate (in particolare un referendum e diverse elezioni regionali e comunali) e c’è stata un’interdizione di tutte le manifestazioni di interesse pubblico. Le riunioni di piazza, gli incontri culturali, le manifestazioni sono, infatti, pericolose occasioni di contagio, ma sono anche le dimensioni caratterizzanti della vita pubblica, ciò che Tocqueville identificava come il pilastro della democrazia, ovvero la modalità espressive della società civile. E mai, nella storia della nostra Repubblica, se n’era vista una sospensione, neanche nelle fasi più nere del terrorismo.

Mentre i cittadini sono chiusi in casa, anche il Parlamento ha trovato qualche difficoltà nel riunirsi e ha ripreso le attività soltanto ieri, dopo diverse settimane di fermo. Stranamente nessun’altra Assemblea parlamentare ha trovato le nostre stesse difficoltà, neanche quella europea, che riunisce deputati da 27 Paesi diversi.

Da Salvini a Renzi, tutti hanno chiesto che le attività dell’emiciclo riprendessero in un momento così delicato, durante il quale vengono varati provvedimenti e misure economiche emergenziali e di grandissimo impatto. E risulta paradossale che ad appellarsi alla democrazia siano proprio i più autoritari (Salvini e Meloni), che al contempo vengono tacciati di essere “traditori della patria”, in un completo ribaltamento della retorica politica a cui siamo abituati. Salvini da Mattarella e il Presidente del Consiglio in diretta su Facebook alla ricerca di Like e commenti.

Il governo Conte ha fatto ampio uso di “Decreti della Presidenza del Consiglio dei Ministri”, atti sottratti a qualsiasi controllo preventivo e che non richiedono di essere sottoposti a nessun esame parlamentare successivo, come vale invece per i Decreti-Legge, già tristemente abusati nel nostro Paese.[2] Il Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri è un atto amministrativo e non dovrebbe essere utilizzato per la legislazione ordinaria, visto che porterebbe ad una sospensione della democrazia parlamentare. A riprova di ciò, il Governo ha provveduto a “sanare” questo deficit democratico, approvando il nuovo Decreto-Legge (D.L. 25 marzo 2020, n. 19), che ha inglobato i precedenti provvedimenti, compresi gli atti di 2° grado (i DPCM).

Oltretutto queste scelte non sono servite neanche a dare chiarezza e i cittadini che in ben 3 occasioni si sono trovati di fronte a bozze, annunci su Facebook e, solo successivamente, decreti, che ne limitavano le libertà in modo confuso. Il tutto con Governatori e Sindaci che minacciavano ulteriori restrizioni e sanzioni, in un caos normativo che ben rifletto lo spirito italiano.

Come cambia la politica

La pandemia insomma sta già cambiando il volto della politica. Se certe scelte sono comprensibili e giustificabili, anche di fronte ad una situazione mai affrontata prima, è lecito domandarsi come uscirà la nostra democrazia da questa crisi. Che cosa resterà di buono e che cosa di cattivo?

Anche se temo che la passione italica per l’uomo forte al comando sarà rinforzata da questa esperienza e che l’uso dei Decreti Legge sarà sempre più la normalità, nutro anche delle speranze. Spero che l’unità di fronte alla crisi darà vita ad un’opposizione costruttiva e limiti un po’ l’approccio da tifo calcistico a cui siamo ormai abituati.

Ci potrebbero essere anche degli impatti sulle modalità di lavoro. Mi auguro si introducano modalità di lavoro da remoto per alcune attività, come quella delle Giunte Comunali; si tratta di strumenti utili per favorire la partecipazione alla politica di categorie che potrebbero averne bisogno, come donne con bambini piccoli o persone dalla mobilità ridotta.

E che dire dell’attivismo politico? La distanza magari ci aiuterà ad apprezzare di nuovo le occasioni di contatto e discussione. Magari torneremo ad unirci, discutere in pubblico, aggregarci, come nelle vecchie sezioni di partito. Dobbiamo ricominciare a parlare con gli elettori faccia a faccia, perché fare politica non è solo riempire le piazze come Salvini o le Sardine (che fine hanno fatto poi?) ma impegno collettivo.

Ora che anche la democrazia sembra essere in quarantena, sta anche a noi cittadini riflettere su che tipo di Politica vorremmo vedere uscire da questa crisi.

 

—–

[1] Non a caso sono nate diverse petizioni, come quella del Partito europeo dei liberali, l’Alde, che chiedono di non riproporre un decreto simile.

[2] Art. 77 della costituzione italiana – Il Governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria. Quando, in casi straordinari di necessità e di urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni. I decreti perdono efficacia sin dall’inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti. Per una discussione approfondita, si veda https://www.ildubbio.news/2020/03/22/presidente-mattarella-difenda-lei-la-costituzione-la-lettera-di-guzzetta-al-colle/