Oggi voglio affrontare un tema molto importante che, anche se non mi investe personalmente, non posso ignorare, perché riguarda quello che più mi sta a cuore, il futuro del mio Paese e delle nuove generazioni.

Domenica, annunciando la Fase 2, il Presidente Giuseppe Conte ha fatto un intervento che ho trovato piuttosto debole e privo di idee. Con un grande sforzo retorico e un po’ di “volemose bene”, Conte ha cercato di mascherare l’assenza di un vero piano per la Fase 2.

Il capitolo scuola

Una delle tante cose che sono mancante è un piano per la scuola. Conte ha confermato la chiusura delle scuole fino a settembre, sostanzialmente perché si ritiene che bambini e ragazzi non sarebbero in grado di rispettare le regole sul distanziamento sociale, anche a causa di un’inadeguatezza strutturale degli edifici scolastici e al basso numero degli insegnanti.

Questo è un problema che investe moltissime persone: in Italia le famiglie con figli sono circa 8,8 milioni, delle quali 2,8 milioni sono monoparentali, ovvero quelle in cui i genitori non si occupano insieme dei figli nel medesimo nucleo familiare. Il problema vero è che è molto difficile chiedere a queste persone di tornare a lavorare senza fornire un’adeguata soluzione alla custodia e alla cura dei figli (soprattutto se minori di 14 anni, che non possono legalmente restare da soli).

Con la ripartenza difficilmente saranno graditi ulteriori congedi, magari dopo mesi di lavoro a singhiozzo o a distanza; ora c’è bisogno di uno sforzo collettivo per recuperare le posizioni perdute.

In questo quadro, i provvedimenti messi in campo (bonus baby-sitter, congedo parentale) non bastano a risolvere il problema di chi ha i figli che non frequentano più le scuole, visto che anche i nonni sono parzialmente fuori gioco, essendo loro i più fragili di tutti. Inoltre, a causa dell’aumento di richieste, sarà sempre più difficile trovare baby-sitter affidabili e a prezzi ragionevoli.

Una delle poche speranze per i genitori italiani è che i Comuni si organizzino in autonomia trovando le risorse per aprire, da qui a settembre, campi scuola e centri estivi. Il problema però è sempre quello del distanziamento: per gestire piccoli gruppi di bambini e ragazzi serve molto spazio e soprattutto un numero sufficiente di operatori, che sia in grado di far rispettare le necessarie prassi igienico-sanitarie.

Gli effetti di lungo periodo

Ma voglio andare oltre la semplice considerazione della scuola come “parcheggio” per i figli e spendere due parole sugli effetti che questa lunga sospensione dell’attività scolastica può comportare. Credo infatti che, così come per il tema del tracciamento dei contatti, non possiamo essere chiamati a scegliere tra due diritti fondamentali, il diritto alla salute e quello all’educazione/istruzione.

Purtroppo, non si tratta di saltare solo qualche capitolo del libro di storia o geografia, perché la scuola non ha e non deve avere solo un fine nozionistico. Ci sono materie come la matematica, la comprensione del testo e le lingue straniere che sono parte integrante della formazione della mente dei nostri ragazze/ragazzi e che difficilmente si possono studiare in autonomia. Gli italiani di domani dovranno affrontare un mondo professionale globalizzato in continua evoluzione e sfide sempre più ardue e, non mi stancherò mai di dirlo, solamente la scuola può fornire loro gli strumenti per arrivarci preparati.

Ho parlato con diversi genitori e tutti mi hanno detto che, osservando i propri figli chiusi in casa da mesi, con il solo ausilio di una didattica a distanza (lasciata tra l’altro all’iniziativa e alla buona volontà dei singoli istituti o addirittura docenti), temono che la curva di apprendimento subisca un ritardo che verrà pagato negli anni a venire.

Il problema è ancora più grave per gli alunni delle scuole dell’infanzia e della primaria, che sono gli ultimi di cui ci si occupa. Tuttavia, essendo i più piccoli, sono anche i più fragili e avrebbero bisogno di una “guida” a tempo pieno. Non bastano certamente i ritagli “nervosi” di tempo che i genitori in telelavoro possono concedere loro.

La risposta degli altri Paesi

Dall’ex MIUR non sembrano arrivare segnali positivi. D’altronde, se la task force ministeriale (l’ennesima) nominata ben 2 mesi fa, appena dopo le prime chiusure, non ha prodotto idee brillanti finora, è difficile immaginare stravolgimenti nei prossimi da qui a luglio. Inoltre, da alcune indiscrezioni sembra che il profilo di tanti componenti di questo gruppo di esperti sia poco soddisfacente dal punto di vista della competenza, essendo state le nomine più di natura politica che tecnica.

Ma cos’hanno fatto gli altri Paesi europei? In realtà tutti si stanno muovendo piuttosto celermente e non mi riferisco solo a quelli del Nord (Danimarca e Norvegia tra i primi), ma ad esempio in Belgio (qui dove vivo), in Francia e in Germania c’è un piano ben preciso di riapertura graduale da maggio, adottando provvedimenti come mascherine, distanziamento, igiene, turni e alternanza tra didattica fisica e a distanza, lezioni da remoto per gli insegnanti più a rischio per età.

Perché nelle parole di Macron c’è stato il riconoscimento dei danni sociali e dell’aumento delle disuguaglianze provocate da queste assenze (anche molto brevi) da scuola, mentre il nostro premier non fa mai neppure un accenno al tema. Si rende forse conto di avere la coda di paglia?

Ancora una volta abbiamo perso un’occasione: potevamo trasformare questa emergenza in una svolta per il mondo della scuola e non l’abbiamo fatto. Si potevano sfruttare gli ingenti fondi messi a disposizione dall’Europa per intervenire nell’edilizia scolastica e renderla a misura di distanziamento sociale; anticipare il rientro a scuola già da quest’estate per venire incontro alle esigenze delle famiglie; introdurre una rivoluzione nel mondo dell’insegnamento affinché la didattica a distanza e la tecnologia diventino parte integrante dei progetti formativi, soprattutto per favorire un diverso coinvolgimento della famiglia nella formazione del progetto di vita dei nostri giovani. Invece tutto si è fermato nelle sabbie mobili dell’inconcludenza politica, dell’indolenza e dell’approssimazione della pubblica amministrazione, all’apparenza preoccupata soltanto di salvare le proprie ferie da questo periodo di riposo forzato.