La situazione nell’Italia travolta dal CoronaVirus sembra non migliorare. Siamo nel pieno del picco dei contagi e possiamo solo sperare che le restrizioni delle ultime due settimane inizino ad avere presto effetto e che la curva raggiunga presto il punto di flesso.

Di fronte al nuovo lock-down dell’Italia annunciato ieri sera dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte è tornata in auge la discussione su quale sia la strada migliore da intraprendere per affrontare l’epidemia. Chiudere tutto come la Cina, oppure provare a tenere la situazione sotto controllo, magari cercando di anticipare il virus ad ogni suo passo, tracciando gli spostamenti individuali come in Corea del Sud, dove i contagi non hanno mai superato le 10.000 unità e i morti sono meno di 100?

Attualmente sembra che l’Italia e l’Europa stiano propendendo per la strada cinese, anche se in versione soft. La capacità di coordinamento e di controllo, infatti, non sono nemmeno paragonabili e ciò che può fare il Governo cinese, in barba ad ogni diritto individuale e civile, non è (per fortuna) neppure immaginabile nelle democrazie europee.

Tuttavia, anche il modello coreano sembra difficile da imitare. Anche senza considerare le diversissime leggi sulla privacy, che consento ampi margini di manovra alla Corea, c’è da tener presente che le precedenti epidemie di SARS nell’Asia Orientale e di MERS (solo in Corea nel 2015) avevano ampiamente preparato il Paese ad affrontare situazioni di questo genere. Insomma, loro erano pronti.

Cosa ne pensano gli esperti

In ogni caso un dibattito intorno a questi temi si è creato e sabato scorso ho avuto il piacere di parlarne con due di loro, Alfonso Fuggetta, professore di informatica al Politecnico di Milano nonché CEO e Direttore Scientifico del CEFRIEL, e Lucio Scudiero, avvocato esperto di privacy.

Partendo da un sondaggio pre lock-down che avevo fatto qualche giorno prima, ci siamo chiesti quanto fosse etico e legale tracciare gli spostamenti delle persone, per individuare le connessioni e i punti di contatto fisici tra ammalati e potenziali infetti. Da quanto emerso dal sondaggio, circa l’80% avrebbe preferito un tracciamento non obbligatorio (insomma con consegna volontaria dei dati); addirittura diverse persone mi hanno scritto dicendo che erano del tutto contrarie a misure di questo genere. Ora, a due settimane da quel sondaggio, molti mi stanno scrivendo ricredendosi e pare che anche il Garante della Privacy abbia fatto qualche passo indietro rispetto alle severe indicazioni di inizio mese.

La domanda è: dobbiamo quindi accettare che le nostre libertà fondamentali, come la privacy, vadano sacrificate per il bene comune? In realtà forse le cose non stanno proprio così e non ci sono grosse concessioni da fare. Infatti, come ci ha spiegato il Professor Fuggetta, se andiamo a vedere come operano le tecnologie esistenti e qual è il quadro normativo di riferimento, ben descritto da Lucio Scudiero, ci muoviamo già in una zona grigia, in cui il tracciamento è una realtà, che esiste e non lede i nostri diritti.

Gli Italiani, e chiunque utilizzi un cellulare, forniscono ogni giorno una quantità impressionante di dati a soggetti privati e pubblici, ed esistono già modi semplici, sicuri e rispettosi della privacy per utilizzare questi dati per far fronte all’emergenza in corso. Anche se non si è fatto da subito, sarà necessario farlo al termine del lock-down, quando bisognerà evitare che la situazione sfugga di nuovo dal nostro controllo. L’importante è mantenere la correttezza nell’utilizzo dei dati, garantendo l’anonimato, le finalità e la durata del trattamento.

Facciamo un esempio: se esistesse un’app che fa scansione dei bluetooth intorno a me in un raggio di 1,5 metri con un meccanismo a doppio cieco per registrare le associazioni (senza sapere dove sono stato né vicino a chi) se io diventassi positivo, si potrebbe notificare tutti quelli che mi sono stati vicini la cosa, senza trasmettere la mia identità.

Su quale sia la strada migliore poi, probabilmente è meglio essere decisi nell’intervento. L’opzione volontaristica, che ora viene proposta anche da alcuni ricercatori in Germania, rischia di non essere efficace di fronte ad una scarsa adesione. I big data sono utili proprio perché sono tanti e se troppe persone si rifiutassero di fornirli perderebbero di significato.

Ma non solo tracciamento

Ma la tecnologia è oggi più preziosa che mai e potrebbe aiutarci ben oltre il monitoraggio degli spostamenti. L’Intelligenza Artificiale, per esempio, potrebbe rendere più veloci l’analisi delle TAC polmonari dei sospetti malati o aiutarci ad analizzare tutte le medicine esistenti per capire quali possono essere utili nel minimizzare l’effetto del virus nei pazienti contagiati.

Pensate poi all’utilizzo di nuovi hardware, come i robot e droni che potrebbero rendere più sicuro lo svolgimento di certi compiti, come la pulizia degli ospedali, il controllo delle strade o la consegna di spesa e medicine alle persone confinate a casa.

 

Siamo ancora all’inizio di una grande rivoluzione tecnologica e probabilmente quello ciò che stiamo passando è una grande prova generale di altre dure situazioni che ci troveremo a vivere in futuro. Facciamo tesoro di ciò che sta accadendo e capiamo come la tecnologia ci potrà aiutare in futuro, senza temerla ma senza neanche pensare che risolverà tutti i nostri problemi.