Venerdì scorso il Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo Dario Franceschini ha promulgato il Decreto che rimodula (verso l’alto ovviamente) i compensi per la copia privata. Ne avevo parlato a febbraio quando la bozza del Ministero aveva iniziato a circolare e, a quanto pare, le cose sono andate esattamente come previsto.

Che cos’è la copia privata

La copia privata è una copia legale che un individuo può fare di materiale protetto da copyright (musica, film, etc) per uso privato. L’idea iniziale di quella che veniva definita la “tassa cassetta” era di compensare gli artisti per i proventi persi quando, per esempio, dopo aver acquistato una musicassetta da ascoltare in casa, ne facevi una copia da ascoltare in auto. E quindi nel prezzo della cassetta era incluso anche questo “compenso per copia privata”.

Con l’arrivo degli smartphone e dei dispositivi multimediali portatili, la tassa sulla copia privata è stata estesa anche a computer, tablet e cellulari, in quanto dispositivi adatti ad ospitare una copia privata del materiale privato acquistato.

Ma nel frattempo, oltre ai dispositivi sono cambiati anche i modelli di business e oggi sappiamo bene, anche grazie ai dati Istat, che solo una piccolissima percentuale di persone copia musica o film dopo averla comprata o scaricata (meno di un quarto della popolazione). Con l’arrivo delle piattaforme di streaming, si tende ad ascoltare la musica sempre di più online e in abbonamento e quindi la tassa per copia privata ha gradualmente perso il suo scopo originario.

Anche se potrebbe apparire sensato pensare ad un’abolizione di questo antico balzello, il nuovo decreto del Mibact ne ha imposto un aumento di ulteriori 6,30 euro, per tutti i dispositivi digitali con un quantitativo di memoria fra i 64 Gb e i 128 Gb, che diventano 6,90 superata questa soglia. Inoltre: tutte le Tv dotate di funzioni per registrare i programmi, così come i decoder, costeranno 4 euro in più. Nella misura sono inclusi anche i wearable, come gli smartwatch o i fit tracker in grado di riprodurre audio e video, e le memorie per computer.

Cosa significa concretamente? Che quando un italiano comprerà un dispositivo digitale, come uno smartphone, uno smart watch, un hard disk o una chiavetta USB, pagherá un piccolo sovrapprezzo perché dentro quel device potrebbe metterci una copia di un vostro vecchio disco o chi sa che cosa.

Grazie al vostro generoso contributo si stima che la raccolta SIAE beneficerà di circa 120-130 milioni di euro all’anno per i prossimi tre anni.

Visto che, appunto, i soldi vanno alla SIAE, si potrebbe pensare che dietro alla normativa sulla copia privata ci sia un fondamentale sostegno al settore culturale e che, in fondo, non importa se il consumatore paga 18 euro in più su un hard-disk da 2 Terabyte, visto che in fondo è giusto sostenere gli artisti.

Peccato che la SIAE, che raccoglie e ridistribuisce questi compensi, abbia accumulato grossi ritardi nel ridare agli autori quello che spetta loro. Dal bilancio 2018, l’ultimo disponibile – ha un debito per copia privata verso gli aventi diritto pari a 178 milioni di euro, cioè quasi un anno e mezzo di raccolta lorda. Soldi che, tra l’altro, sono in larga maggioranza frutto di accantonamenti a riserva per rischi derivanti dai ricorsi pendenti sulla copia private.

Inoltre, ad oggi non sono neanche noti i criteri con cui la SIAE procede alla distribuzione dei compensi. Un quadro confuso e di mal gestione che nel tempo ha portato diversi artisti a ribellarsi contro il monopolio della SIAE.

Negli altri Paesi

La disciplina che regola la copia privata varia molto da Paese a Paese: ci sono Stati dove il compenso per copia privata non esiste (UK) e ce ne sono in cui è lo Stato a compensare gli artisti con un forfait senza gravare direttamente sui consumatori (ad esempio in Finlandia); ci sono anche Paesi che hanno tariffe più alte dell’Italia.

In generale è una situazione problematica, tutto fuorché in linea con l’idea del mercato unico digitale e che da anni viene discussa senza arrivare a nulla. La Corte di Giustizia Europea ha più volte emesso sentenze che hanno invalidato leggi nazionali sulla copia privata, incluso per esempio il decreto Bondi in Italia, ma è sempre complesso intervenire quando si parla di cultura, visto che ogni Paese si considera eccezionale da questo punto di vista.

Un vero sostegno al settore culturale dovrebbe farsi diversamente

Franceschini ha agito probabilmente sulla scia del sentimento – giusto e giustificato – che il settore culturale fosse tra i più colpiti e che dopo mesi di stallo sul nuovo decreto, tra audizioni rimandate e altri bizantinismi, farlo passare ora sarebbe stato più facile. Ma se per aiutare un settore serve l’ennesima tassa nascosta, desueta e parzialmente ingiusta, che il consumatore deve pagare, allora c’è un problema.

Ovviamente su un’idea sbagliata Franceschini ha trovato il pieno appoggio del Movimento 5 Stelle, che non ha neppure l’attenuante della coerenza. Franceschini, infatti, è quantomeno fedele a sé stesso, essendo stato l’autore di un altro decreto sul tema ed essendosi sempre dichiarato a favore di questo compenso dalla logica antiquata. I 5 Stelle, invece, erano sul piede di guerra e avevano dichiarato di voler  radicalmente ridurre i compensi per copia privata, salvo poi fare l’ennesima piroetta. Forse adesso a livello di consenso conviene di più non essere visti come quelli che tolgono fondi necessari ai poveri artisti colpiti dalla crisi COVID?

Sono assolutamente d’accordo che gli artisti vadano sostenuti, come tante altre categorie colpite dalla crisi, ma non che debbano essere compensati per qualcosa (la copia privata) che non accade, e con meccanismi sconosciuti e non trasparenti per i consumatori. È ingiusto che i consumatori siano chiamati a pagare per qualcosa che non fanno.