Quello della sostenibilità è sicuramente tra i temi più caldi del momento. Insieme alla transizione digitale, la transizione ecologica infatti è uno dei due pilastri su cui si dovrebbe reggere l’architettura sociale ed economica della società post Covid. Tuttavia, come il tema dell’innovazione, anche quello della sostenibilità necessita di misure concrete per renderlo attuabile nel medio termine. Mentre aspettiamo che Azione presenti la proprie proposte, contenute nella seconda parte del nostro Foglio del Come, dedicato al Next Generation Italia, ho voluto riportarvi qualche mia riflessione.

Next Generation EU: una opportunità

Il Next Generation EU (a cui ci si riferisce spesso come Recovery Fund) è sicuramente un’opportunità da non perdere per il nostro Paese. L’Europa ha infatti messo a disposizione un’enorme quantità di risorse per il nostro Paese (il 28% del totale, a fronte di un peso dell’economia italiana nella Ue del 13%), buona parte delle quali destinate alla transizione verso uno sviluppo più verde e sostenibile.

Oltre agli stanziamenti l’Europa sta valutando di introdurre un meccanismo di adeguamento delle emissioni di CO2 alle frontiere e un sistema di scambio di quote di emissioni all’interno dell’UE, per rientrare del debito fatto a livello europeo per raccogliere i fondi destinati al Next Generation EU. Per questo motivo è fondamentale che il nostro Paese sia in grado di completare meglio la transizione verde, oppure rischia di trovarsi presto a pagare il conto di tutti questi investimenti.

Il ruolo della tecnologia nella transizione ecologica

Per l’Italia la domanda resta: come spendere almeno una parte di quei fondi per favorire la transizione ecologica delle imprese e del Paese senza cadere in sussidi il cui impatto rischia di tradursi in un buco nell’acqua? Tra i tanti argomenti da trattare, oltre agli investimenti in energie rinnovabili (centrali eoliche, solari, mini-reattori modulari nucleari, idrogeno e via dicendo), sono particolarmente interessata a capire come la tecnologia possa effettivamente dare il proprio contributo alla svolta verde del Paese.

Inizio dallo smartworking. Questo strumento ha dimostrato alcuni lati oscuri, ma è innegabile quanto beneficio possa derivare dall’applicazione sana di politiche di lavoro agile. La possibilità di lavorare a distanza alcuni giorni a settimana per alcuni tipi di lavoro, permette grandi risparmi in termini di consumi (le utenze diminuiscono) e di ridurre le emissioni di CO2 dovute al traffico.

Un altro enorme contributo può essere fornito dall’intelligenza artificiale: secondo alcuni studi, il machine learning può aiutare ad ottimizzare i processi di produzione delle fabbriche, così da ridurre i consumi di risorse fossili; si possono inoltre ridurre i consumi di pesticidi, fertilizzanti e acqua in agricoltura, individuando le aree più fertili su cui coltivare certe piante; un ulteriore esempio è la possibilità di prevedere il fabbisogno di risorse alimentari di un dato territorio, riducendone lo spreco (qui e qui i link per approfondire).

Pensiamo poi alla digitalizzazione documentale: quanta carta si potrebbe risparmiare (e quanti fastidi e code per il cittadino!)? E poi ancora il famoso Internet of Things (IoT): quanto potremmo risparmiare con termostati, illuminazione e fabbriche intelligenti? Non dimentichiamoci che gli edifici e la loro costruzione rappresentano un altissimo consumo energetico. La tecnologia intelligente deve essere inclusa negli investimenti nella ristrutturazione degli edifici per renderli più efficienti dal punto di vista energetico. Già esistono parametri di misurabilità europei come lo Smart Readiness Indicator (SRI) che dovrebbero essere applicati in maniera più diffusa.

In generale gli aspetti negativi, come il maggior traffico dati e la creazione di grandi ed energivori datacenter dedicati ai servizi di Cloud computing, vengono compensati dalle migliori economie di scala e dallo sviluppo di nuove tecnologie (come la virtualizzazione dei server), rendendo quello dell’innovazione un campo a somma positiva.

Grafico sul consumo energetico dei datacenter

Consumo globale di energia elettrica per tipologia di datacenter. Come si può vedere negli ultimi anni la sostituzione di datacenter tradizionali con nuove tecnologie ha mantenuto costante il consumo energetico (IEA, 2020)

Tutti i benefici derivanti dall’innovazione possono essere portati in azienda attraverso politiche come quelle che Azione propone da sempre: Industria 4.0 e tutti i sistemi di incentivazione che essa comporta. Il motivo per cui sono convinta che l’approccio di Industria 4.0 sia quello corretto è che non dice quali tecnologie siano adatte alla singola azienda o filiera, ma lascia queste ultime decidere da sé pur incentivando l’acquisto di beni materiali e immateriali innovativi.

E le città?

Penso che le città debbano essere protagoniste della transizione ecologica, tanto quanto le imprese. Per farlo devono adottare strategie di lungo termine orientate ad almeno quattro temi centrali: mobilità sostenibile, rigenerazione urbana, smartworking e nearworking. La città 15 minuti come propone il sindaco Sala nella mia Milano.

La mobilità sostenibile

Questo tassello consiste essenzialmente nella promozione di investimenti dedicati al trasporto pubblico, car sharing, car pooling, piste ciclabili e tutto ciò che può contribuire il traffico e la produzione di smog, favorendo l’affermarsi di modalità più ecologiche ed efficienti per spostarsi in città.

Rigenerazione urbana

Il secondo punto si può sviluppare aumentando le aree verdi cittadine, riducendo ai minimi il consumo di suolo, optando invece per un recupero di aree dismesse, e sperimentando le produzioni di cibo cittadine (orti urbani, che aumentano anche la biodiversità e riducono la necessità di trasporto di cibo secondo alcuni studi).

Smart working e nearworking

Dello smartworking e nearworking abbiamo ampiamente parlato, ma si lega bene al quarto ed ultimo punto: la città15minuti. Questo concetto, di cui ho parlato anche recentemente, esprime la necessità di creare città a misura d’uomo, dove tutti i servizi siano a massimo 15 minuti da dove si abita: per ottenere un simile risultato, occorre approntare un piano urbanistico molto sofisticato che preveda, tra le altre cose, spot ove le persone possano recarsi per lavorare in maniera agile. In questo modo, usufruendo di una rete internet ottimale, si potrebbe lavorare senza congestionare le vie nel traffico.

Nuove forme di business e investimenti consapevoli

Anche il mondo del business sta iniziando a fare i conti con il cambiamento climatico: Blackrock, holding di investimento tra le più grandi ed influenti al mondo, ha dichiarato che il rischio climatico sia tra i rischi di investimento e che si impegnerà a spostare i propri asset in settori sostenibili, togliendo dunque ossigeno alle industrie ad alto tasso di utilizzo di combustibile fossile (quiqui i link per approfondire). A conferma del trend, ci sono le B-Corp, quelle imprese che puntano non solo ad avere un impatto più ridotto in termini ambientali, ma che vogliono anche dare benefici al pianeta, non solo dal punto di vista ecologico.

Il problema dei sussidi

Ma per una vera transizione ad un modello di business più sostenibile bisogna fare i conti con il grande problema dei sussidi alle imprese dannosi per l’ambiente. In breve, si tratta di finanziamenti diretti o sconti di tasse che, di fatto, facilitano l’utilizzo di fonti fossili o altre non rinnovabili.

Secondo dati presenti sul Catalogo dei sussidi ambientalmente dannosi e dei sussidi ambientalmente favorevoli del 2018, redatto dal Ministero dell’Ambiente, si stima che lo Stato conferisca alle imprese 19,7 miliardi di sussidi dannosi per l’ambiente. Secondo un rapporto di Legambiente, nel 2020 questi sono addirittura stimabili in oltre 35 miliardi, di cui 33 alle sole imprese. Il medesimo report stima come eliminabili circa 13 miliardi di questi sussidi e tra i rimodulabili ne annovera circa 21.

Nel dettaglio, si può discutere della fattibilità di tutte le misure e, in sede di implementazione, sarebbe fondamentale stabilire il reale ammontare dei sussidi. Nel complesso, è auspicabile applicare il principio “chi inquina paga”: ciò significa spostare il carico fiscale sulle imprese dal reddito al consumo di risorse.… senza dimenticarsi dei Green Jobs!

Per concludere

Insomma, quanto bene possiamo fare semplicemente applicando il principio “chi inquina paga” e investendo in infrastrutture, ricerca e innovazione? Secondo molti esperti, oltre a ridurre l’inquinamento e a rendere sostenibile il nostro stile di vita per il pianeta, si potrebbero anche creare numerosi posti di lavoro, che andrebbero a compensare quelli persi dalle industrie fossili che eventualmente siano state colpite dal cambio di paradigma. Lavoratori di cui comunque è fondamentale non dimenticarsi, aiutandoli a reinserirsi nel nuovo mercato del lavoro attraverso formazione continua e politiche attive del lavoro.

Che ne pensate? Avete altri suggerimenti? Non vedo l’ora di sentire la vostra. In particolare se avete idee ulteriori su come la tecnologia possa aiutare la transizione ecologica, le stiamo raccogliendo con il gruppo innovazioneinazione@gmail.com quindi non esitate a mandarci le vostre idee!